Due
grandi figure di quella che è stata la più cospicua corrente
filosofica del Novecento, quella fenomenologico esistenzialista, che
ascrive a proprio padre Edmund Husserl. Edith Stein fu sua
assistente, Sartre il principale diffusore in Francia del suo
pensiero. Riferimento precipuo sono l’ “intenzionalità”, l’
“epoche”, la ripresa e lo sviluppo del “cogito” cartesiano,
il “mondo della vita”.
Sono
i temi ripresi e portati avanti – spesso anche con profondi
distinguo – dai discepoli. Anche dai due nostri. L'andamento
generale dell'evoluzione o dello sviluppo del pensiero della Stein è
- a grandi linee - similare a quello del filosofo francese. Anche la
filosofa tedesca partendo dalla intenzionalità di Husserl guarda
dapprima al soggetto, alla persona, per volgersi poi alla comunità,
alla società, allo stato. In Sartre lo spostamento è più
progressivo e l'oggetto del suo interesse è prima il soggetto, ne
"La trascendance de l'ego" e "L'etre et le néant"
poi la società nelle due "Critique" ed in fine la morale
negl'incompiuti e bellissimi "Cahiérs". Nella Stein c'è -
fin dall'inizio - una maggiore interconnessione, un maggior
intreccio, ci si muove, già da quella che è la sua prima opera,
pubblicata come saggio - "Psicologia e scienze dello spirito"
(1922) - dalla persona, ma già in questo stesso saggio la concezione
della persona è subito relazionata alla concezione della comunità e
dello stato che trovano una loro esposizione nella seconda parte
dello stesso. L'interesse si volge alla società già nel 1925 con
"Lo

Stato", ma si indirizza poi in maniera decisa - e ciò
sarà fondamentale - allo studio di Tommaso d' Aquino. Questo
percorso e soprattutto il punto di partenza diverso da quello
sartriano, la tesi di laurea della Stein è sul "Problema della
empatia", e quindi su una diversa impostazione della
interpretazione dell'intenzionalità husserliana, le consentiranno di
non cadere nella empasse intenzionalizzante / intenzionalizzato dalla
quale non riuscirà ad uscire Sartre e che infine porteranno il
francese a "lo sguardo pietrifica l'altro". La concezione
di Edith Stein ne "La struttura della persona umana" è
insieme simile e diversa a quella del francese. E' simile la
concezione dell'intenzionalità, ma sono diversi e gl'approcci e gli
sviluppi, è quasi identica la concezione del "sé", ma è
diversa quella dell' "Io" dove la Stein riprende l' "Io"
puro di Husserl che Sartre nega, è praticamente identico il concetto
di habitus che la Stein riprende da Tommaso, anche se Sartre non lo
riprende da Tommaso e lo chiama "qualità", ma è un
termine che usa anche la Stein, ma alla filosofa tedesca ciò
consente di riprendere l'etica tomista, il francese, alla fine di
"L'etre et le néant" si capacita che tutta la tematica
svolta nell'opera rimanda di necessità ad una morale e da questa
necessità prenderà le mosse proprio per lo sviluppo dei "Cahiers
pour une morale", cui lavoreà per tutta la vita, ma che
resteranno incompiuti. Nella sua prima opera "Psicologia e
scienze dello spirito" la

Stein inizia la sua analisi dalla
disamina dei vissuti e del loro flusso.
Il
flusso di coscienza originario è un puro divenire; da lì fluisce il
vivere e il nuovo vi si aggiunge in una produzione continua, senza
che ci si possa chiedere "per mezzo di che cosa" quello che
diviene è prodotto, ovvero causato. In nessun punto del flusso la
nascita di una fase da un'altra può essere considerata un "essere
causato": una emerge dall'altra e il "donde"
originario rimane nell'oscurità. Mentre le fasi fluiscono le une
nelle altre, non si costituisce una serie di fasi interrotte, ma più
propriamente un flusso unico e in continua crescita. Non avrebbe
neanche senso, perciò, chiedersi se vi sia una "connessione"
di fasi: una connessione è necessaria soltanto per gli anelli di una
catena, ma non per un continuum indiviso ed indivisibile.
E'
il punto da cui era partito anche Sartre, che parimenti vi era
rimasto affascinato, e da esso aveva tratto la conclusione della
natura trascendente ed autotrascendente dell' "Io", dell'
"Egò", ed il suo continuo prodursi, - poiein?-, anch'esso
in qualche modo inspiegabile per il francese, al punto da usare per
definire questo processo la parola "magico". Lo sguardo
della Stein è diverso, c'è una osservazione importante già nel
brano citato:
In
nessun punto del flusso la nascita di una fase da un'altra può
essere considerata un "essere causato": una emerge
dall'altra e il "donde" originario rimane nell'oscurità.
Ella
si connette - anche se in senso negativo - e perciò più
propriamente si distanzia dalla causalità, dal principio di
causalità quale esso è inteso in senso comune, ossia alla causalità
fisica. E' una posizione - e lo sivedrà meglio - che porterà la
filosofa tedesca a distinguere la causalità psichica da quella
fisica. Il brano successivo ci mostra proprio come lo sguardo della
Stein apra un orizzonte completamente diverso da quello del francese:
Allora,
come si giunge a parlare di vissuti "nel" flusso e di una
relazione o connessione di tali vissuti? Prima di poter dare una
risposta a questa domanda, dobbiamo osservare ancora più da vicino
questo prodotto particolare, cioè il flusso continuo e la modalità
del divenire che in esso si presenta. Non v'è tra le fasi una
divisione tale che, con il divenire della nuova svanisce di volta in
volta, anche la vecchia, sparendo nel nulla; se ciò accadesse,
avremmo sempre soltanto una fase singola e non si potrebbe produrre
un flusso unitario. Non accade nemmeno che ciò che si produce di
volta in volta si irrigidisca nel divenire e rimanendo fermo a quel
punto perisca morto, fisso e immutabile, mentre il nuovo diviene e vi
si aggiunge, come in uno sviluppo lineare. Nel flusso ci sono
entrambi gl'aspetti, senza però che esso si identifichi con nessuno
dei due.
Sartre
si era volto a questo aspetto dopo aver guadagnato il concetto che l'
ego debba necessariamente avere per sua stessa natura una struttura
trascendente, - La trascendance de l'ego - appunto, esso è "Nulla"
perchè l' "essere" è anzitutto ciò che è, è ousia, è
cosa, è tutto ciò che è
intenzionalizzabile, perciò
l'intenzionalizzato tout court. Si noti con attenzione che qui, è
altra differenza fondamentale con la Stein, Sartre prescinde dal
concetto aristotelico di analogia dell'essere. L'essere proprio dell'
Essere, non sarà per il francese, come per Aristotele, Tommaso e la
Stein, quello di essere atto e quindi trascendenza ed
"intenzionalizzante", ma quello di essere cosa, di essere
"intenzionalizzato".
Per
il francese l’essere è l’en soi, l’essere del fenomeno:
L’essere
non è rapporto a sé, è sé. E’ immanenza che non può
realizzarsi, affermazione che non può affermarsi, attività che non
può agire perché si è inceppata da sé stessa (…). L’essere è
opaco a sé stesso perché è ricolmo di sé stesso. Questo fatto lo
esprimeremo meglio dicendo che l’essere è ciò che è (…).
L’essere in sé non ha affatto un di dentro, che si opponga a un di
fuori (…). L’essere in sé non ha segreti: è massiccio (…).
L’essere è isolato nel suo essere e non ha alcun rapporto con ciò
che non è lui (…). E’ piena positività. Non conosce dunque
l’alterità (…). E’ se stesso indefinitamente e, nell’esserlo,
dà fondo a sé stesso. Da questo punto di vista vedremo più tardi
che sfugge alla temporalità (…). L’essere non può né essere
derivato dal possibile, né essere ricondotto al necessario (…).
L’essere in sé non è mai né possibile né impossibile, esso è
(…). L’essere è. L’essere è in sé. L’essere è ciò che è.
Ad
esso si contrappone l’essere della coscienza che è – invece –
pour soi, questo, a differenza del primo si
autocrea continuamente
nel tempo e non può coincidere con sé. Esso, assolutamente
antitetico all’in sé, si configura palesemente come non essere. Il
pour soi nasce dalla lacerazione, dall’annullamento dell’essere.
In altri termini: Il nulla è la condizione necessaria e
assoluta del per sé. E’ ciò che lacera l’essere dal suo stesso
interno. E’ un’esperienza di non essere radicale che il soggetto
compie nel suo stesso essere e agire concreto (S.
Moravia, Introduzione a Sartre.)
Perciò
qui per il francese si aprirà, nel seno stesso della coscienza,
quella spaccatura insanabile che la caratterizzerà strutturalmente,
perchè essa sarà al tempo stesso - e strutturalmente -
intenzionalizzante in atto e perciò trascendente e dunque "Nulla"
ed, insieme, "essere", intenzionalizzato e, ricordiamo,
anche il "vissuto" è un intenzionalizzato. Lo sguardo
interpretativo della Stein riesce ad evitare tutto questo ed a
dischiudere un orizzonte diverso, un orizzonte sereno, pacifico,
senza spaccature. In questa concezione si concretizza insieme la
vicinanza e la diversità con Nietzsche e con Freud.Nietzsche
sosteneva che:
Ciò
che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo: non
concedo loro che l' "io" sia ciò che pensa; al contrario,
considero l' "io" stesso una costruzione del pensiero,
dello stesso valore di "materia", "cosa",
"sostanza", "individuo", "scopo",
"numero"; quindi solo una finzione regolativa col cui aiuto
si introduce, si inventa, in un mondo del divenire, una specie di
stabilità e quindi di "conoscibilità". Il credere alla
grammatica, al soggeto ed oggetto grammaticale, ai verbi, ha
soggiogato finora la metafisica; io insegno ad abiurare questa fede.
E' il pensiero che pone l' "io", ma si è finora

creduto,
come crede il "popolo", che nell' "io penso" ci
fosse qualcosa di immediatamente certo e che questo "io"
fosse la causa data del pensiero; secondo un'analogia con questa
abbiamo "inteso" tutti gli altri rapporti causali. Per
quanto consueta e indispensabile questa funzione possa essere, niente
dimostra che la sua natura non sia fittizia. Qualcosa può essere
condizione di vita e tuttavia falso(F. Nietzsche, Frammenti
postumi 1884 – 1885.
Di
contro per Freud ciò che chiamiamo “io” è dato dalla unità o
meglio unificazione degli “erlebnisse” in base alla loro forza
pulsionale e non in base alla loro successione temporale. Da ciò
segue che l’ “io” è una realtà anzitutto pulsionale, qui la
vicinanza di Freud a Nietzsche, e segue che l’uomo non è più
animale razionale. Anche se sono ovviamente indipendenti, Freud dà
così – in qualche modo - una base scientifica allo “Spirito
Dionisiaco” di Nietzsche. La distanza dei nostri due con Freud e
Nietzsche non è tuttavia incolmabile, infatti tanto Sartre quanto la
Stein ammettono che l’attività dell’ “io” cosciente è
sempre intenzionale sebbene questa intenzionalità sia sempre in uno
stato emozionale. Da qui: a) l’ “io” è sintesi di
intenzionalità e pulsionalità; b) l’ “io” ha sempre un
habitus (è il termine di Tommaso ripreso da Edith Stein) o qualità
(è il termine corrispettivo di Sartre). C’è dunque una grande
affinità nella concezione del soggetto anche se Freud e Nietzsche
danno una prevalenza alla pulsionalità, laddove la connotazione
temporale degli erlebnisse in Sartre e nella Stein finisce con il
dare una maggior prevalenza razionale.
francesco
latteri scholten.