sabato 1 aprile 2017

Due grandi pensatori del Novecento a confronto: Edith Stein, la santa e martire, e Jean Paul Sartre, l’ateo che a volte ha vissuto come se Dio ci fosse.


Due grandi figure di quella che è stata la più cospicua corrente filosofica del Novecento, quella fenomenologico esistenzialista, che ascrive a proprio padre Edmund Husserl. Edith Stein fu sua assistente, Sartre il principale diffusore in Francia del suo pensiero. Riferimento precipuo sono l’ “intenzionalità”, l’ “epoche”, la ripresa e lo sviluppo del “cogito” cartesiano, il “mondo della vita”.
Sono i temi ripresi e portati avanti – spesso anche con profondi distinguo – dai discepoli. Anche dai due nostri. L'andamento generale dell'evoluzione o dello sviluppo del pensiero della Stein è - a grandi linee - similare a quello del filosofo francese. Anche la filosofa tedesca partendo dalla intenzionalità di Husserl guarda dapprima al soggetto, alla persona, per volgersi poi alla comunità, alla società, allo stato. In Sartre lo spostamento è più progressivo e l'oggetto del suo interesse è prima il soggetto, ne "La trascendance de l'ego" e "L'etre et le néant" poi la società nelle due "Critique" ed in fine la morale negl'incompiuti e bellissimi "Cahiérs". Nella Stein c'è - fin dall'inizio - una maggiore interconnessione, un maggior intreccio, ci si muove, già da quella che è la sua prima opera, pubblicata come saggio - "Psicologia e scienze dello spirito" (1922) - dalla persona, ma già in questo stesso saggio la concezione della persona è subito relazionata alla concezione della comunità e dello stato che trovano una loro esposizione nella seconda parte dello stesso. L'interesse si volge alla società già nel 1925 con "Lo 


Stato", ma si indirizza poi in maniera decisa - e ciò sarà fondamentale - allo studio di Tommaso d' Aquino. Questo percorso e soprattutto il punto di partenza diverso da quello sartriano, la tesi di laurea della Stein è sul "Problema della empatia", e quindi su una diversa impostazione della interpretazione dell'intenzionalità husserliana, le consentiranno di non cadere nella empasse intenzionalizzante / intenzionalizzato dalla quale non riuscirà ad uscire Sartre e che infine porteranno il francese a "lo sguardo pietrifica l'altro". La concezione di Edith Stein ne "La struttura della persona umana" è insieme simile e diversa a quella del francese. E' simile la concezione dell'intenzionalità, ma sono diversi e gl'approcci e gli sviluppi, è quasi identica la concezione del "sé", ma è diversa quella dell' "Io" dove la Stein riprende l' "Io" puro di Husserl che Sartre nega, è praticamente identico il concetto di habitus che la Stein riprende da Tommaso, anche se Sartre non lo riprende da Tommaso e lo chiama "qualità", ma è un termine che usa anche la Stein, ma alla filosofa tedesca ciò consente di riprendere l'etica tomista, il francese, alla fine di "L'etre et le néant" si capacita che tutta la tematica svolta nell'opera rimanda di necessità ad una morale e da questa necessità prenderà le mosse proprio per lo sviluppo dei "Cahiers pour une morale", cui lavoreà per tutta la vita, ma che resteranno incompiuti. Nella sua prima opera "Psicologia e scienze dello spirito" la 


Stein inizia la sua analisi dalla disamina dei vissuti e del loro flusso.
Il flusso di coscienza originario è un puro divenire; da lì fluisce il vivere e il nuovo vi si aggiunge in una produzione continua, senza che ci si possa chiedere "per mezzo di che cosa" quello che diviene è prodotto, ovvero causato. In nessun punto del flusso la nascita di una fase da un'altra può essere considerata un "essere causato": una emerge dall'altra e il "donde" originario rimane nell'oscurità. Mentre le fasi fluiscono le une nelle altre, non si costituisce una serie di fasi interrotte, ma più propriamente un flusso unico e in continua crescita. Non avrebbe neanche senso, perciò, chiedersi se vi sia una "connessione" di fasi: una connessione è necessaria soltanto per gli anelli di una catena, ma non per un continuum indiviso ed indivisibile.
E' il punto da cui era partito anche Sartre, che parimenti vi era rimasto affascinato, e da esso aveva tratto la conclusione della natura trascendente ed autotrascendente dell' "Io", dell' "Egò", ed il suo continuo prodursi, - poiein?-, anch'esso in qualche modo inspiegabile per il francese, al punto da usare per definire questo processo la parola "magico". Lo sguardo della Stein è diverso, c'è una osservazione importante già nel brano citato:
In nessun punto del flusso la nascita di una fase da un'altra può essere considerata un "essere causato": una emerge dall'altra e il "donde" originario rimane nell'oscurità.


Ella si connette - anche se in senso negativo - e perciò più propriamente si distanzia dalla causalità, dal principio di causalità quale esso è inteso in senso comune, ossia alla causalità fisica. E' una posizione - e lo sivedrà meglio - che porterà la filosofa tedesca a distinguere la causalità psichica da quella fisica. Il brano successivo ci mostra proprio come lo sguardo della Stein apra un orizzonte completamente diverso da quello del francese:
Allora, come si giunge a parlare di vissuti "nel" flusso e di una relazione o connessione di tali vissuti? Prima di poter dare una risposta a questa domanda, dobbiamo osservare ancora più da vicino questo prodotto particolare, cioè il flusso continuo e la modalità del divenire che in esso si presenta. Non v'è tra le fasi una divisione tale che, con il divenire della nuova svanisce di volta in volta, anche la vecchia, sparendo nel nulla; se ciò accadesse, avremmo sempre soltanto una fase singola e non si potrebbe produrre un flusso unitario. Non accade nemmeno che ciò che si produce di volta in volta si irrigidisca nel divenire e rimanendo fermo a quel punto perisca morto, fisso e immutabile, mentre il nuovo diviene e vi si aggiunge, come in uno sviluppo lineare. Nel flusso ci sono entrambi gl'aspetti, senza però che esso si identifichi con nessuno dei due.
Sartre si era volto a questo aspetto dopo aver guadagnato il concetto che l' ego debba necessariamente avere per sua stessa natura una struttura trascendente, - La trascendance de l'ego - appunto, esso è "Nulla" perchè l' "essere" è anzitutto ciò che è, è ousia, è cosa, è tutto ciò che è 


intenzionalizzabile, perciò l'intenzionalizzato tout court. Si noti con attenzione che qui, è altra differenza fondamentale con la Stein, Sartre prescinde dal concetto aristotelico di analogia dell'essere. L'essere proprio dell' Essere, non sarà per il francese, come per Aristotele, Tommaso e la Stein, quello di essere atto e quindi trascendenza ed "intenzionalizzante", ma quello di essere cosa, di essere "intenzionalizzato".
Per il francese l’essere è l’en soi, l’essere del fenomeno:
L’essere non è rapporto a sé, è sé. E’ immanenza che non può realizzarsi, affermazione che non può affermarsi, attività che non può agire perché si è inceppata da sé stessa (…). L’essere è opaco a sé stesso perché è ricolmo di sé stesso. Questo fatto lo esprimeremo meglio dicendo che l’essere è ciò che è (…). L’essere in sé non ha affatto un di dentro, che si opponga a un di fuori (…). L’essere in sé non ha segreti: è massiccio (…). L’essere è isolato nel suo essere e non ha alcun rapporto con ciò che non è lui (…). E’ piena positività. Non conosce dunque l’alterità (…). E’ se stesso indefinitamente e, nell’esserlo, dà fondo a sé stesso. Da questo punto di vista vedremo più tardi che sfugge alla temporalità (…). L’essere non può né essere derivato dal possibile, né essere ricondotto al necessario (…). L’essere in sé non è mai né possibile né impossibile, esso è (…). L’essere è. L’essere è in sé. L’essere è ciò che è.
Ad esso si contrappone l’essere della coscienza che è – invece – pour soi, questo, a differenza del primo si 


autocrea continuamente nel tempo e non può coincidere con sé. Esso, assolutamente antitetico all’in sé, si configura palesemente come non essere. Il pour soi nasce dalla lacerazione, dall’annullamento dell’essere. In altri termini: Il nulla è la condizione necessaria e assoluta del per sé. E’ ciò che lacera l’essere dal suo stesso interno. E’ un’esperienza di non essere radicale che il soggetto compie nel suo stesso essere e agire concreto (S. Moravia, Introduzione a Sartre.)
Perciò qui per il francese si aprirà, nel seno stesso della coscienza, quella spaccatura insanabile che la caratterizzerà strutturalmente, perchè essa sarà al tempo stesso - e strutturalmente - intenzionalizzante in atto e perciò trascendente e dunque "Nulla" ed, insieme, "essere", intenzionalizzato e, ricordiamo, anche il "vissuto" è un intenzionalizzato. Lo sguardo interpretativo della Stein riesce ad evitare tutto questo ed a dischiudere un orizzonte diverso, un orizzonte sereno, pacifico, senza spaccature. In questa concezione si concretizza insieme la vicinanza e la diversità con Nietzsche e con Freud.Nietzsche sosteneva che:
Ciò che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo: non concedo loro che l' "io" sia ciò che pensa; al contrario, considero l' "io" stesso una costruzione del pensiero, dello stesso valore di "materia", "cosa", "sostanza", "individuo", "scopo", "numero"; quindi solo una finzione regolativa col cui aiuto si introduce, si inventa, in un mondo del divenire, una specie di stabilità e quindi di "conoscibilità". Il credere alla grammatica, al soggeto ed oggetto grammaticale, ai verbi, ha soggiogato finora la metafisica; io insegno ad abiurare questa fede. E' il pensiero che pone l' "io", ma si è finora 


creduto, come crede il "popolo", che nell' "io penso" ci fosse qualcosa di immediatamente certo e che questo "io" fosse la causa data del pensiero; secondo un'analogia con questa abbiamo "inteso" tutti gli altri rapporti causali. Per quanto consueta e indispensabile questa funzione possa essere, niente dimostra che la sua natura non sia fittizia. Qualcosa può essere condizione di vita e tuttavia falso(F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884 – 1885.
Di contro per Freud ciò che chiamiamo “io” è dato dalla unità o meglio unificazione degli “erlebnisse” in base alla loro forza pulsionale e non in base alla loro successione temporale. Da ciò segue che l’ “io” è una realtà anzitutto pulsionale, qui la vicinanza di Freud a Nietzsche, e segue che l’uomo non è più animale razionale. Anche se sono ovviamente indipendenti, Freud dà così – in qualche modo - una base scientifica allo “Spirito Dionisiaco” di Nietzsche. La distanza dei nostri due con Freud e Nietzsche non è tuttavia incolmabile, infatti tanto Sartre quanto la Stein ammettono che l’attività dell’ “io” cosciente è sempre intenzionale sebbene questa intenzionalità sia sempre in uno stato emozionale. Da qui: a) l’ “io” è sintesi di intenzionalità e pulsionalità; b) l’ “io” ha sempre un habitus (è il termine di Tommaso ripreso da Edith Stein) o qualità (è il termine corrispettivo di Sartre). C’è dunque una grande affinità nella concezione del soggetto anche se Freud e Nietzsche danno una prevalenza alla pulsionalità, laddove la connotazione temporale degli erlebnisse in Sartre e nella Stein finisce con il dare una maggior prevalenza razionale.
francesco latteri scholten.

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