Eliade
è un fenomenologo della religione, per lui, comprendere
il sacro è guardare al fenomeno ed a ciò che sta dentro ad ogni sua
manifestazione.
La manifestazione
va colta nel
significato ad essa attribuito originariamente,
ossia quello datole inizialmente, quello datole
dall’uomo primitivo.
Si tratta dunque di individuare i principi ontologici di
quest’ultimo, cercare una
ontologia arcaica.
E’ una ricerca fatta applicando simultaneamente tre criteri o
momenti:
1)
Quello storico,
perché il fenomeno acquista quel determinato significato specifico
che gli è proprio, piuttosto che un altro in relazione al contesto
socio - culturale in cui si è manifestato.
2) Quello fenomenologico, perché il fenomeno è dato da una duplicità di soggetti in quanto manifestazione di Dio e storia degl’uomini e cioè ierofania del sacro.
3) Quello ermeneutico, in quanto bisogna interpretare i fenomeni e le manifestazioni tanto nella singolarità quanto nell’insieme.
2) Quello fenomenologico, perché il fenomeno è dato da una duplicità di soggetti in quanto manifestazione di Dio e storia degl’uomini e cioè ierofania del sacro.
3) Quello ermeneutico, in quanto bisogna interpretare i fenomeni e le manifestazioni tanto nella singolarità quanto nell’insieme.
Significativamente
Eliade - ne “Il
sacro e il profano”
- introduce alle proprie tesi partendo da un raffronto con “Il
sacro” di Rudolf Otto,
il fenomenologo che aveva cercato di dare una fondazione autonoma
alla religione nella individuazione della sua intuizione di
fondo.
Giustamente, dice Eliade, Otto distingue il dio dei filosofi da quello della religione e cerca un modo diverso d’approcciare quest’ultimo procedendo nella analisi della esperienza religiosa e qui trova il significato del Dio vivente per il credente: l’incontro con il “ganz andere”, il radicalmente diverso. Per sua natura il “ganz andere” sovrasta infinitamente l’uomo, lo sovrasta razionalmente, in modo tale da non essere riconducibile alle categorie della razionalità umana, ponendosi perciò
Giustamente, dice Eliade, Otto distingue il dio dei filosofi da quello della religione e cerca un modo diverso d’approcciare quest’ultimo procedendo nella analisi della esperienza religiosa e qui trova il significato del Dio vivente per il credente: l’incontro con il “ganz andere”, il radicalmente diverso. Per sua natura il “ganz andere” sovrasta infinitamente l’uomo, lo sovrasta razionalmente, in modo tale da non essere riconducibile alle categorie della razionalità umana, ponendosi perciò
stesso, per l’uomo, come
irrazionale, lo sovrasta inoltre - ovviamente - come
potenza.
Da qui la nascita, nell’esperienza religiosa, nell’uomo, di due
sentimenti contrapposti, il fascino ed il terrore
e la loro irriconducibilità / incomunicabilità all’uomo, dunque
il mysterium
fascinans ed il mysterium tremendum.
Essi sono il nucleo
della esperienza di Dio,
ossia del noumen,
ovvero del nouminoso. Sono criteri validi ed accettabili, Eliade non
li contraddice, ma, e ce lo dice apertamente, del tutto
insufficienti, essi infatti portano all’analisi religiosa
indirizzata al piano del razionale / irrazionale, quello prevalente
in Otto, il quale non può dare conto del sacro nella sua totalità.
S’intravede qui però chiaramente il perché della accettazione
parziale di Otto, in specie per quanto concerne il ganz andere, il
mysterium fascinans e tremendum, il nouminoso: essi possono essere
parte di quell’ontologia arcaica ch’egli sta cercando. Superare
il piano del razionale / irrazionale per dare conto del sacro nella
totalità è guardare al sacro ed al tutto
e qui si pone, immediata la contrapposizione
sacro – profano.
Guardare al tutto ed al sacro significa infatti distinguere il sacro
da ciò che sacro non è: tutto il resto, il profano. Rispetto
a questo profano il sacro è potenza ed ed in definitiva realtà e
verità e perciò significato.
Il sacro
è - allora - la realtà vera
che si staglia contro il profano che è così dichiarato falso.
Guardare al tutto ed al sacro è per l’uomo - sempre secondo Eliade
- uno scegliere tra due modi esistenziali, due modi di collocarsi nel
mondo:
“Il
sacro ed il profano sono due modi d’essere nel mondo, due
situazioni esistenziali assunte dall’uomo nella storia”
(Sacro e profano, p. 16)
La
situazione esistenziale dell’uomo è una situazione che
necessariamente si colloca in due ambiti: lo spazio
ed il tempo.
Eliade esamina qui per primo lo spazio in relazione al sacro:
“Per
l’uomo religioso lo spazio non è omogeneo, (…) perché nel
momento in cui il sacro si manifesta (…) viene interrotta
l’omogeneità dello spazio, avviene (…) la rivelazione di una
realtà assoluta, in opposizione alla non realtà dell’immensa
distesa che la circonda. La manifestazione del sacro fonda
ontologicamente il mondo.”
(ivi, p.19).
Il
sacro dunque è ciò che irrompendo nel mondo fonda, istituisce la
verità del mondo e perciò la sua realtà.
Con la manifestazione del sacro perciò si
istituisce il vero ed il falso, si crea un punto fisso,
un riferimento, il che per il nostro equivale alla “creazione
del mondo“.
L’uomo sceglie di collocarsi in una delle due situazioni esistenziali possibili rispetto a questo punto ed a questa scelta corrispondono due tipologie diverse: l’ homo religiosus e l’ homo a religiosus. Il primo, in relazione allo spazio, vive in uno spazio in cui compaiono, nella distesa dello spazio profano delle singolarità, dei luoghi sacri; il secondo vive in uno spazio omogeneo totalmente profano, in quanto i luoghi sacri non hanno significato per lui. Le due tipologie homo religiosus e homo a religiosus non sono in realtà del tutto scindibili in quanto ad un esame più approfondito l’homo a religiosus non risulta esistere quale tipologia pura in quanto anche i suoi spazi contengono spazi con connotazioni particolari, quali ad es. il paese natale, i luoghi dei primi amori etc.; sono luoghi che hanno una
L’uomo sceglie di collocarsi in una delle due situazioni esistenziali possibili rispetto a questo punto ed a questa scelta corrispondono due tipologie diverse: l’ homo religiosus e l’ homo a religiosus. Il primo, in relazione allo spazio, vive in uno spazio in cui compaiono, nella distesa dello spazio profano delle singolarità, dei luoghi sacri; il secondo vive in uno spazio omogeneo totalmente profano, in quanto i luoghi sacri non hanno significato per lui. Le due tipologie homo religiosus e homo a religiosus non sono in realtà del tutto scindibili in quanto ad un esame più approfondito l’homo a religiosus non risulta esistere quale tipologia pura in quanto anche i suoi spazi contengono spazi con connotazioni particolari, quali ad es. il paese natale, i luoghi dei primi amori etc.; sono luoghi che hanno una
connotazione significativa similare
agli spazi sacri dell’homo religiosus. Spazio
sacro e spazio profano sono comunicanti attraverso la soglia che
consente il passaggio dal mondo profano al mondo sacro.
Questa soglia è il luogo tramite cui si ha accesso al mondo degli
dei: è luogo di transito e di giudizio. L’accesso
avviene attraverso dei riti, con essi si accede allo spazio sacro: è
luogo di transito e di giudizio.
L’accesso avviene attraverso dei riti, con essi si accede allo
spazio sacro: ogni spazio sacro implica una ierofania, un’irruzione
del sacro, resa possibile perché il luogo è aperto all’alto, cioè
a Dio, e la sua apertura è data dalla consacrazione. Nella
consacrazione Eliade vede una creazione, la costruzione di una realtà
vera, dell’unica veramente reale, la quale dà un senso ed un
significato al mondo, lo separa dal Caos.
Questa creazione del mondo è la creazione di un mondo “nostro”:
la consacrazione istituisce una separazione tra il nostro ed il non
nostro. Ma la consacrazione
è di più: essendo creazione essa è anche imitazione
della creazione prima, quella dell’universo, essa è dunque
imitazione dell’opera degli dei.
E’ l’apertura all’alto a consentire la comunicazione con gli
dei e - con la consacrazione - la
ierofania.
Il luogo
sacro è così luogo nel quale sono comunicanti i tre livelli
cosmici: inferi, terra e cielo.
I simboli per eccellenza di questa comunicazione sono la montagna
ed il palo
sacro,
meglio ancora il palo sacro eretto sulla montagna sacra, per
i cristiani la croce sul Gòlgota.
Da qui la collocazione del tempio in cima alla montagna, poi
Da qui la collocazione del tempio in cima alla montagna, poi
l’identificazione della montagna con il tempio. L’asse
che consente la comunicazione dei tre livelli permette l’irruzione
del divino,
ovvero dell’attribuzione del significato vero al reale, costituisce
l’asse stesso del reale, il centro del mondo: l’ “Axis
Mundi“.
Esso è il centro anche nel senso che sopra vi è il regno degli dei
e sotto gl’inferi, l’ade, il regno di ciò che è prima e dopo la
vita. Questo centro del mondo è il nostro mondo anche in quanto è
il mondo dei viventi e per questo l’homo
religiosus aspira a vivere sempre nel centro del mondo, è per questo
ch’egli consacra i luoghi in cui vive.
Con la consacrazione del proprio mondo l’homo religiosus fonda un
mondo che è imitazione
del modello degli dei, egli crea un ordine che è la distruzione del
Caos primordiale
e che è al di sopra del Caos, il quale ne costituisce perciò
gl’inferi.Creare
è distruggere il Caos, gl’inferi, annientarne il sgnore, il
serpente antico.
Il rito della consacrazione ripete ogni anno il mito della creazione. Lo spazio sacro così costruito - il mondo - è uno spazio esistenziale, l’unico vivibile per l’homo religiosus poiché solo questo partecipa dell’essere, esiste realmente. Si diceva, il rito della consacrazione ripete il mito della creazione, è un periodare, un fatto ciclico, lo spazio introduce al tempo, e, come lo spazio, anche questo è disomogeneo, discontinuo, come per lo spazio, anche il tempo è diviso in profano e sacro. Il tempo sacro è reversibile per natura, nel senso cioè, per essere esatti che esso è un tempo mitico primordiale divenuto presente. Questo tempo primordiale costituisce il principio, il momento della creazione, il momento primo del vero e reale. Il rito porta quel tempo - il tempo della creazione, del principio - nell’attualità presente e con ciò il presente all’ “illo tempore”. In
Il rito della consacrazione ripete ogni anno il mito della creazione. Lo spazio sacro così costruito - il mondo - è uno spazio esistenziale, l’unico vivibile per l’homo religiosus poiché solo questo partecipa dell’essere, esiste realmente. Si diceva, il rito della consacrazione ripete il mito della creazione, è un periodare, un fatto ciclico, lo spazio introduce al tempo, e, come lo spazio, anche questo è disomogeneo, discontinuo, come per lo spazio, anche il tempo è diviso in profano e sacro. Il tempo sacro è reversibile per natura, nel senso cioè, per essere esatti che esso è un tempo mitico primordiale divenuto presente. Questo tempo primordiale costituisce il principio, il momento della creazione, il momento primo del vero e reale. Il rito porta quel tempo - il tempo della creazione, del principio - nell’attualità presente e con ciò il presente all’ “illo tempore”. In
questo modo il fatto dell’ illo tempore viene ad avere
valore nel presente e quindi a dare significato al presente.
Anche per il tempo, come già per lo spazio, si ha una collocazione,
che è
collocazione esistenziale,
e che è diversificata per l’ homo religiosus e per l’homo a
religiosus. Il primo
rifiuta di vivere unicamente in quello che in termini moderni, si
chiama “presente storico”, si sforza di raggiungere un tempo
sacro
che, sotto certi aspetti, può essere paragonato all’eternità.
Discontinuo è anche il tempo dell’homo a religiosus: lavoro,
divertimenti, piacere etc. Esiste tuttavia una differenziazione di
fondo: l’homo
a religiosus rimane sempre in un mondo radicalmente umano e ne ha
coscienza, quello religiosus attualizzando nel rito il fatto accaduto
nell’illo tempore e ponendolo a dare un significato ad una realtà
al presente supera il mondo meramente umano. Periodicamente l’homo
religiosus entra in un tempo sacro,
l’unico vero e reale, e questo dà un senso “vero” alla sua
vita. Il tempo è ciclico e il
suo “periodo” è di un anno perché il Cosmo è concepito come
un’unità vivente
che nasce e si sviluppa per terminare l’ultimo giorno dell’anno e
rinascere con l’anno nuovo.
Il tempo sacro emula il tempo della creazione dell’universo, in
esso si crea un mondo il cui tempo è rigenerato con la creazione del
tempo stesso, in altri termini:
la cosmogonia comporta anche la creazione del tempo. Come lo spazio
sacro è uno spazio aperto all’alto, tramite cui l’uomo comunica
con gli dei, così il
tempo sacro periodicamente rende presente l’illo tempore
del fatto che è manifestazione degli dei e quindi rende
presente gli dei.Questo
presente degli dei è il tempo originario,
l’eterno presente che
non passa, è il tempo sacro ed indistruttibile.
E’ questo tempo sacro a fondare e scandire irrompendovi, il tempo
ordinario, il tempo storico.
La funzione sacrale del tempo è la stessa dello spazio:
avvicinare gl’uomini agli dei per comunicare con essi.
Il tempo sacro è la festa,
celebrazione del rito, ossia riattualizzazione del mito.
“Il mito - scrive Eliade - narra una storia sacra, cioè un evento
primordiale che ha avuto luogo in principio, ab inizio. Raccontare
una storia sacra significa rivelare un mistero, poiché i personaggi
dei miti non sono esseri umani: sono dei… Una
volta detto, cioè rivelato, il mito diventa verità apodittica:
stabilisce la verità assoluta.In quanto il suo contenuto è evento
primordiale o cosmico esso è sempre rappresentazione di una
creazione, vi si indica come un fatto ha avuto l’essere, è stato
creato: Ecco
perché il
mito si identifica con l’ontologia:
parla solo di cose reali, di ciò che è realmente accaduto, di ciò
che si è manifestato totalmente.” (ivi, p. 63)
Il
sacro è il vero ed il reale, il significativo.
Con
il rito - che è riattualizzazione del mito - l’uomo assume, o
meglio - come dice Eliade - imita il vero reale e significativo,
ossiagli dei, solo così diventa vero uomo.
L’homo religiosus non è dato: si fa da sé, avvicinandosi a modelli divini: Non si diventa uomo vero se non uniformandosi all’insegnamento dei miti, imitando gli dei. Significativa è l’applicazione che Eliade fa di quanto egli è andato elaborando a diverse tipologie di religiosità, nella quale emerge una differenziazione netta per quanto riguarda la categoria del sacro, mentre la altre, ierofania come cratofania, e rapporto sacro / profano in relazione allo
L’homo religiosus non è dato: si fa da sé, avvicinandosi a modelli divini: Non si diventa uomo vero se non uniformandosi all’insegnamento dei miti, imitando gli dei. Significativa è l’applicazione che Eliade fa di quanto egli è andato elaborando a diverse tipologie di religiosità, nella quale emerge una differenziazione netta per quanto riguarda la categoria del sacro, mentre la altre, ierofania come cratofania, e rapporto sacro / profano in relazione allo
spazio subiscono poche variazioni. La prima
tipologia è quella dell’uomo
primitivo
per il quale l’eterna ripetizione dei gesti esemplari e l’eterno
incontro con il tempo originario, non implicano una visione
pessimistica della vita, anzi, grazie a questo eterno ritorno alle
fonti del sacro e del reale, l’esistenza umana si salva
dall’annientamento e dalla morte. L’eterno
ritorno è il rito,
esso rende sacre, quindi piene di realtà e di significato ontologico
le cose del tempo presente. Con il suo progredire civile e
socioculturale dispiegantesi nella storia, l’uomo progressivamente
esce, anche nella religiosità, dall’eterno ritorno.Nel bramanesimo
l’eterno ritorno è sostituito da un susseguirsi di creazione,
dissoluzione, creazione, con cicli di 12.000 anni che si susseguono
in cicli ancora più ampi fino alla durata di 311.000 miliardi di
anni, la durata della vita di Brama, una vita assai lunga ma finita.
La finitezza della vita del dio e la lunghezza delle ciclizzazioni
tolgono il senso dell’eterno ritorno: rendere periodicamente
contemporanea la presenza del dio tra gl’uomini, lasciar comunicare
gl’uomini con dio. Anche i greci conoscono l’eterno ritorno,
Eliade cita Puech:
“Secondo
la celebre definizione platonica il tempo che determina e misura la
rivoluzione delle sfere celesti è l’immagine mobile dell’eternità
immobile che esso imita compiendo un decorso circolare.”
C’è
dunque un susseguirsi infinito di cicli dove nessun evento è unico,
esso non accade una volta sola (per es. la morte di Socrate), ma è
accaduto e accadrà continuamente; ogni volta che il cerchio ritorna
su sé stesso, sono apparsi, appaiono e riappaiono gli stessi
individui.
E’ eterno ritorno ma più come fato che come
riattualizzazione della presenza del dio.La
mancata riattualizzazione della presenza di dio ha la conseguenza più
drastica: viene offuscato il significato della religiosità cosmica e
si ha la ripetizione svuotata del suo contenuto religioso la quale
conduce per forza maggiore ad una visione pessimistica della
esistenza.
Dallo svuotamento di significato dell’eterno ritorno si passa al
suo totale
superamento con il giudaismo
per il quale il tempo è finito e non ciclico: ha avuto un inizio ed
avrà una fine. Jahvè
si manifesta con i suoi interventi personali nella storia e questa
assume una nuova dimensione: diventa teofania.
Il
cristianesimo accentua ulteriormente i caratteri storia-teofania,
l’illo tempore è qui tempo storico non più incerto ed indefinito,
ma precisamente determinato: quando Ponzio Pilato era governatore
della giudea. La storia è la nuova dimensione della presenza di Dio
nel mondo.
Essa riacquista la sua dimensione sacra come per l’uomo primitivo
ma con una collocazione
ben diversa: è fuori del mito, è nella realtà.
E’ diversa anche la connotazione teologica della storia: non la
semplice riattualizzazione della presenza di dio ma un fine
individuale e globale specifico: la salvezza.
Infatti gl’interventi di Dio nella storia, soprattutto
l’incarnazione nella persona storica di Cristo, hanno un fine
transitorio: la salvezza dell’uomo. Hegel
per Eliade è l’interprete che applica questa concezione alla
storia universale: “lo spirito universale è continuamente
manifesto negli eventi storici e
solo in questi eventi. La storia
diventa quindi nella sua totalità una teofania”. Al recupero della
dimensione sacrale della storia con il cristianesimo ed alla
introduzione in essa di un principio teologico, quello salvifico, fa
seguito però una nuova forma di uscita dal sacro che modernamente si
pone a seguito dell’interpretazione unilaterale del senso della
storia, quella che la assolutizza: lo
storicismo.
Questo
infatti nega l’aspetto trans storico e riconosce solo il “fatto”
in sé ed esce così dal religioso.
Eliade osserva in proposito: …
lo storicismo è il prodotto della decomposizione del cristianesimo:
annette un’importanza decisiva all’evento storico, ma solo in
quanto tale, cioè negandogli qualsivoglia possibilità di
sottintendere un’intenzione soteriologica trans storica. E’
quanto non fa né il cristianesimo né Hegel. La dimensione sacra del
tempo è però recuperata ma il suo significato diverso. Eliade non
lo dice, ma se torniamo alle pagine dell’introduzione dove collega
sacro a mysterium che è mysterium fascinans e tremendum ed
applichiamo qui questi concetti troviamo un senso
diverso per la ierofania arcaica e per quella cristiana, in
quest’ultima infatti la ierofania è una ierofania di amore e
salvezza e sono queste categorie a connotarne il mistero. La
differenziazione prima tra sacro e profano così evinta dalle due
categorie dello spazio e del tempo è ulteriormente affinabile
considerando altri due aspetti: la sacralità della natura e
l’esistenza umana.
In questa disamina appare ancora più evidente la diversità tra homo
a religiosus e homo religiosus ed in quest’ultima tipologia quella
tra l’homo religiosus arcaico e quello cristiano. Eliade disamina
per prima la sacralità della natura e la disamina anzitutto per
l’homo
religiosus. Per questi
il soprannaturale è indissolubilmente legato
al naturale e la natura esprime sempre qualcosa che trascende.
Si può aggiungere che questa espressione vale
anche per il cristiano,
basti ricordare la Bibbia,
S. Agostino, S. Tommaso.
La prima congiunzione natura - sacro, dove il sacro è come già si
diceva apertura verso l’alto e perciò verso il mistero, è la
volta celeste:
“La
semplice contemplazione della volta celeste è sufficiente a far
scattare un’esperienza religiosa. Il cielo è infinito,
trascendente, (…) il cielo, per il suo stesso modo d’essere
rivela la trascendenza, la forza, l’eternità. Esiste in maniera
assoluta, perché è alto, infinito, potente” (ivi, p.76)
E’
la prima
teofania: dio è dio del cielo e nel cielo si manifesta per ciò che
gli è proprio: la majestas dell’immensità celeste;
il tremendum dell’uragano. In questa teofania Dio è ipso facto
lontano, perché dio dei cieli e di questo risente il rapporto con
l’uomo e con la terra: Dio ha bisogno di un demiurgo per
perfezionare la sua opera o perché gli faccia da mediatore. Da parte
dell’uomo poi il rapporto ne risente anche in un altro modo:
l’allontanamento divino realizza il sempre crescente interesse
dell’uomo per le proprie scoperte religiose, culturali ed
economiche. C’è un passaggio
di prospettiva del “ganz andere” a sé ed alle proprie cose, dal
trascendente
- sono osservazioni di chi scrive - al
reale,
c’è una concretizzazione. Era una concretizzazione, in definitiva
anche quella inerente il tempo con il passaggio dal tempo mitico al
tempo storico, dall’ illo tempore al “questo” tempo, hic et
nunc. Il
passaggio al concreto è il passaggio all’esperienza concreta della
vita, è l’introduzione di nuovi aspetti: la sessualità, la
fecondità, la donna, la terra, etc..
Con questo
passaggio di prospettiva si
pongono altre cose oltre dio,
anche se non sullo stesso piano: dio rimane al di sopra e compare
nella sua supremazia nel momento del pericolo estremo, allora l’uomo,
come il popolo ne invoca l’intervento. Si pone un dualismo di
orizzonti: il cielo ed il dio del cielo e ciò che sta sotto il
cielo, e queste sono - in origine - le acque. Al tempo stesso
l’analisi di Eliade comincia a servirsi di uno strumento
nuovo, il simbolo:
il cielo è simbolo del trascendente, le acque simbolizzano la somma
delle virtualità; sono fons et origo, il serbatoio di tutte le
possibilità esistenziali; precedono qualsiasi forma e sostengono
qualsiasi creazione.
“L’immersione
ripete il gesto cosmogonico della manifestazione formale;
l’immersione equivale ad una dissoluzione delle forme. Per questo
il simbolismo delle acque implica tanto la morte che la risurrezione”
(ivi, p. 84).
Le
acque
sono ciò che è sotto il cielo ossia ciò che è prima della
creazione, ovvero dell’ordine, quindi il Caos,
il preformale.
Così immersione
ed emersione
acquistano un significato cosmologico ed antropologico: la
reintegrazione
temporanea nell’indistinto seguita da una nuova creazione o nuova
vita.
Anche le acque, come già il cielo, hanno il loro signore: il
principe
degli abissi, il serpente antico,
colui il cui ordine è ciò che si oppone alla creazione e cioè
all’ordine: il Caos. E’ questo il significato originario del
simbolismo acquatico, ed è qui anche la sacralità
delle acque,
le ierofanie che ad esse si
connettono ed il mistero che le
accompagna. Il cristianesimo riprende con evidenza tutto questo ed
aggiunge il proprio imprimatur derivante dalla sua determinazione
temporale e storica. Il
significato originario è conservato: il battesimo di Cristo, la sua
discesa nelle acque della morte, la lotta con il serpente e la
sconfitta di questo, la risurrezione.
C’è però la storia, non più il mito, il determinato, non
l’indeterminato: nel
battesimo il cristiano celebra il battesimo del Cristo storico, il
quale in esso anticipa simbolicamente la propria morte e
risurrezione: il sacro, il mistero, la ierofania hanno una
collocazione storica.
La struttura del simbolo è la stessa, la valutazione del simbolo
invece è nuova e - per il cristiano - univoca, anzi: per
il cristiano è l’incarnazione di Dio nel tempo storico a dare
validità ai simboli.
Il cambiamento di prospettiva dell’uomo, il suo volgersi dal cielo,
dal dio lontano del cielo al proprio esperienziale e vissuto porta
l’altro simbolo di cui Eliade si occupa: la sessualità
/ fecondità, ossia la terra madre.
Il simbolo è facilmente compreso se si guarda l’attività concreta
svolta dall’uomo: l’agricoltura. E’ l’uomo che lavora ad
inseminare la terra e questa dà i suoi frutti. L’associazione alla
sessualità è immediata. Eliade non disamina questo simbolo in
relazione al cristianesimo. Siamo già, per connessione,
all’esperienza umana che è esperienza nel mondo: l’uomo
religioso si conosce conoscendo il mondo.
E’ l’istituzione di un importante analogia, uomo - mondo, nella
quale l’uomo si vede microcosmo. L’uomo entra nel mondo, o che è
lo stesso, nella vera vita, attraverso l’iniziazione,
la quale
“…
consiste
essenzialmente in un mutamento del regime ontologico del neofita.
Ciò è molto importante, ci pare, per la comprensione dell’uomo
religioso: dimostra che l’uomo delle società primitive non si
considera completo così come si trova ad essere al livello naturale
dell’esistenza: per diventare vero uomo deve morire alla prima vita
e rinascere ad una vita superiore, religiosa e culturale insieme.”
(ivi, p.118).
L’uomo
cioè deve morire nella sua dimensione profana per poter nascere al
mondo degli dei, ossia rinascere.
“Da
un punto di vista religioso, l’esistenza si basa sull’iniziazione;
si potrebbe affermare che l’esistenza umana, nella misura in cui
essa si adempie, è essa stessa una iniziazione.” (ivi, p.132)
Il
cristianesimo riprende il momento del battesimo, ma gli dà un
significato in più: quello storico. E’ il Cristo storico e la sua
immersione nel Giordano a dare il significato all’evento.
L’imitazione che il cristiano fa e che fonda il significato del suo
fare è quella del Cristo storico, non è il rito che attualizza un
mito dell’illo tempore. Si generano così dei “figli spirituali”
per mezzo della fede, cioè in forza di un mistero trasmesso dal
Cristo stesso.
“L’homo
a religiosus del mondo moderno e contemporaneo ha creato invece una
sorta di iniziazione al contrario: l’uomo si fa da sé e si fa
completamente in proporzione alla sua desacralizzazione del mondo.
Il sacro costituisce l’unico ostacolo di fronte alla sua libertà.
Diverrà se stesso solo nel momento in cui sarà riuscito a
demistificarsi radicalmente. La
sua libertà sarà completa nel momento stesso in cui sarà riuscito
ad uccidere l’ultimo dio”
(ivi, p. 128).
Una
simile iniziazione è quella ad una scelta esistenziale:
“L’uomo
moderno areligioso assume una sua esistenza tragica e la sua scelta
esistenziale non è priva di grandezza.” (ivi, p. 129).
Da
figlio e discendente dell’homo religiosus, l’homo a religiosus
ripete, sebbene in altro modo, le iniziazioni del primo, che
divengono ad es. le iniziazioni al mondo del lavoro, alla carriera
etc..
francesco latteri scholten.
francesco latteri scholten.