Il “Male” in San Tommaso d’Aquino.


Per San Tommaso il “Male” si configura come “mancanza”. Mancanza di una perfezione dovuta o mancanza di ordine al fine proprio liberamente voluta. E’ una concezione che rinvia indirettamente a Plotino, il quale aveva compiuto la grande sintesi della filosofia antica, quella con cui erano state superate la concezione platonica e quella aristotelica. Platone ed Aristotele avevano spezzato il circolo originario con il quale la filosofia da sempre considerava il Tutto: “dall’unità originaria divina che contiene in sé tutte le cose deriva l’universo – e la derivazione è insieme divisione dell’unità nella molteplicità delle cose - ; e l’universo ritorna nell’unità da cui è uscito (…) in Platone e Aristotele (…) il circolo si spezza in due semicerchi, perché l’unità divina originaria e la materia prima del mondo sono due assoluti reciprocamente indipendenti che, appunto per questo, non entrano in circolo: da un lato una produzione dell’ordinamento razionale del mondo da parte di Dio (primo semicerchio), dall’altro una tendenza della materia verso l’ordine e la forma, cioè verso Dio (secondo semicerchio) (Emanuele Severino, “La filosofia antica”)”. La realtà risulta dunque costituita da due principi primi co-eterni ed assolutamente irriducibili: Dio e la materia, lo Spirito ed il Caos, il principio ordinatore e la sua negazione.  Una concezione aporetica come giustamente osserverà San Tommaso in Summa, I, q. 2 art. 3 dove il primo argomento per suffragare il videtur quod Deus non sit è tratto proprio dall’esistenza del male:
“Sembra che Dio non esista. Infatti:1. Se di due contrari uno è infinito, l'altro resta completamente distrutto. Ora, nel nome Dio s'intende affermato un bene infinito. Dunque, se Dio esistesse, non dovrebbe esserci più il male. Viceversa nel mondo c'è il male. Dunque Dio non esiste.”
San Tommaso esce dall’ empasse grazie a Sant’Agostino:
“Soluzione delle difficoltà: 1. Come dice S. Agostino: "Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in nessun modo che nelle sue opere ci fosse del male, se non fosse tanto potente e tanto buono, da saper trarre il bene anche dal male". Sicché appartiene all'infinita bontà di Dio il permettere che vi siano dei mali per trarne dei beni.”
Non esistono dunque due principi primi cooriginari e costerni, ma uno solo. Questo però è quanto Sant’Agostino aveva appreso da Plotino. E’ la grande intuizione con la quale Plotino esce dal “dualismo” platonico aristotelico e ripristina il circolo dell’essere. Esso “costituisce l’autentico passo innanzi di Plotino rispetto a Platone e Aristotele.  Se infatti la materia è indipendente da Dio, Dio manca di qualcosa e – considerando il problema in termini aristotelici – in quanto mancante non può essere “atto puro”, ma un “essere in potenza”; ed essendo in potenza non può essere immutabile, ma è diveniente. Affermando che la materia è indipendente dall’ Immutabile (cioè non è prodotta da esso), si afferma che l’ Immutabile è diveniente. Ma l’esistenza dell’ Immutabile non può essere negata (perché l’intera metafisica greca mostra le contraddizioni che scaturiscono da questa negazione). Dunque è necessario affermare che l’ Immutabile produce anche la materia, cioè la crea. (…)  Il circolo, cioè, non è omogeneo: c’è un Punto del circolo che produce tutti gl’altri (Emanuele Severino, “La filosofia antica”). Il “Male” allora non è definibile positivamente, ma solo negativamente, ossia come “mancanza”. E’ quanto l’aquinate specifica nell’art. 2 della q. 48 della prima parte della Summa: “Rispondo: La perfezione dell'universo, come abbiamo già detto, esige che nelle cose ci siano delle disuguaglianze, affinchè si attuino tutte le gradazioni della bontà. Vi è dunque un primo grado di bontà, secondo il quale una data cosa è così buona da non poter mai avere deficienze. E vi è un secondo grado di bontà, per cui una cosa è buona, in maniera però da poter avere deficienze nel bene. E queste disuguaglianze si riscontrano anche nell'essere: infatti ci sono delle cose che non possono perdere il proprio essere, come gli esseri incorporei; e ce ne sono altre che lo possono perdere, come le cose materiali. Ora come la perfezione dell'universo richiede che ci siano non soltanto degli esseri incorruttibili, ma anche quelli corruttibili; cosi questa stessa perfezione richiede che ci siano delle cose che possono subire deficienze nel bene; e da ciò deriva che di fatto alcune deficienze si verifichino. Ora in questo appunto consiste l'essenza del male, cioè nel fatto che una cosa subisce una deficienza di bene. E chiaro quindi che il male si trova nelle cose, come [vi si trova] la corruzione; infatti la stessa corruzione non è che uno dei tanti mali.” Soggetto del “Male” è allora necessariamente il “Bene” come egli osserva al successivo articolo 3: “Rispondo: Come abbiamo spiegato, il male importa una carenza di bene. Ma non ogni mancanza di bene si dice male; poiché la carenza di bene si può prendere come privazione o come negazione. Ora, l'assenza del bene, presa come negazione, non riveste l'aspetto di male: altrimenti se ne dovrebbe dedurre che una cosa la quale non esiste affatto sia male; e ancora, che sarebbe cattiva qualsiasi cosa, dal momento che non ha il bene di un'altra, cosicché l'uomo sarebbe cattivo perché non ha la velocità del capriolo, o la forza del leone. Invece si chiama male la carenza del bene che si presenta come privazione: allo stesso modo che chiamiamo cecità la privazione della vista. Ora la privazione e la forma [positiva corrispondente] hanno un identico subietto, cioè l'ente potenziale: sia esso del tutto potenziale come la materia prima, che è il subietto della forma sostanziale e dell'opposta privazione; sia un ente potenziale riguardo agli accidenti e attuale per la sostanza, come un corpo diafano [p. es., l'aria], subietto [successivamente] delle tenebre e della luce. Ora è evidente che la forma, dalla quale dipende l'attualità di una cosa, è una perfezione e un bene: cosicché ogni ente in atto è un certo bene. Non solo, ma ogni ente in potenza, in quanto tale, è un certo bene, perché è ordinato al bene: infatti nella misura che è ente in potenza è anche bene in potenza. Perciò rimane provato che il bene è il soggetto in cui il male si trova.” Dunque, se soggetto del “Male” è il “Bene”, la causa del “Male” non può trovarsi se non in un bene, poiché tutto ciò che ha realtà è “Bene”, e solo ciò che ha realtà può avere causa. E’ quanto specificato nel primo articolo della q. 49, sempre della prima parte della “Summa”: “Rispondo: È necessario affermare che ogni male, in mi modo o nell'altro, ha una causa. Difatti il male è la mancanza di un bene, che dovrebbe naturalmente essere posseduto. Ora, che una cosa decada dalla sua debita e naturale disposizione non può provenire che da una causa, la quale trascini quel dato essere fuori della sua disposizione: difatti un corpo grave non si muove verso l'alto se non in forza di un impulso estraneo, e un agente non viene meno nel suo operare se non a causa di un impedimento. Ora, il causare non può attribuirsi che al bene: poiché nessuna cosa può causare se non perché ente; e ogni ente, in quanto tale, è un bene. Se poi consideriamo le singole specie di causalità, si vede che quella efficiente, quella formale e il fine implicano una perfezione; e questa si risolve nel concetto di bene; anche la materia, quale potenza al bene, si presenta come un bene. Ora, che il bene sia causa del male come sua causa materiale e già dimostrato da quanto precede: difatti abbiamo visto che il bene è il soggetto del male. La causa formale, invece, il male non ce l'ha: essendo esso piuttosto privazione di forma. Così non ha neppure la causa finale: essendo al contrario carenza di ordine al debito fine. Ora [è chiaro che] non soltanto il fine riveste la natura di bene, ma. anche l'utile che dice ordine al fine. Invece il male ha una causa efficiente: non già diretta [per se], ma indiretta [per accidens].  E per capire questo dobbiamo riflettere che il male nell'azione stessa viene causato diversamente che nell'effetto. Si ha il male nell'azione per il difetto di qualche causa dell'azione medesima, e cioè della causa agente principale, o di quella strumentale. Per es., il difetto di un animale nel camminare può succedere o per la debolezza della sua facoltà di locomozione, come nei fanciulli; oppure per la sola insufficienza dello strumento, come negli zoppi. - Invece in un'opera, che non sia però l'effetto proprio dell'agente, il male viene qualche volta causato dall'efficacia dell'agente, e qualche altra volta dal difetto del medesimo o della materia. E cioè: dall'efficacia o perfezione dell'agente, quando alla forma verso la quale esso tende segue necessariamente la privazione di una forma diversa; così, p. es., alla forma del fuoco segue la privazione della forma dell'aria o dell'acqua. Nella misura dunque che il fuoco è più perfetto in efficacia e più perfettamente imprime la sua forma, tanto più perfettamente distrugge il suo contrario; perciò il male, cioè la distruzione dell'aria o dell'acqua, deriva dalla perfezione del fuoco. Questo però avviene indirettamente: poiché il fuoco non tende ad eliminare la forma dell'acqua, bensì a imprimere la propria forma; ma ciò facendo causa indirettamente [per accidens] anche quell'effetto. Invece se riscontriamo una deficienza in quello che è l'effetto proprio del fuoco, come la mancanza di riscaldamento, ciò avviene o per un difetto nell'azione, che deriva da una deficienza di qualche causa, come si è spiegato; oppure per una indisposizione della materia, che non riceve l'azione del fuoco che è in attività. Ma queste deficienze soltanto come accidentalità appartengono al bene, al quale di suo appartiene semplicemente di agire. Perciò rimane vero che il male in nessun modo ha una causa altro che accidentalmente e indirettamente [per accidens]. E proprio così il bene è causa del male.” Il “Male” dunque ha il proprio soggetto e la propria causa nel “Bene” e si manifesta come carenza la quale può essere di due specie: il “malum poenae”, la mancanza di una perfezione dovuta (ad es. la cecità dell’occhio); e il “malum culpae”, la mancanza di ordine al fine proprio liberamente voluta da una creatura razionale: q. 48 art. 5, “Rispondo: Il male, si disse, è privazione di bene, il quale ultimo consiste principalmente ed essenzialmente nella perfezione e nell'atto. L'atto poi è di due specie: atto primo e atto secondo. L'atto primo è la forma stessa e l'integrità di una cosa: mentre l'atto secondo ne è l'operazione. Perciò il male può verificarsi in due modi. Primo, per una sottrazione della forma o di qualche parte richiesta all'integrità della cosa; e così è un male la cecità, oppure la privazione di un membro. Secondo, per una carenza della debita operazione: o perché questa non si ha affatto, oppure perché manca del debito modo e del debito ordine. Ma poiché il bene in senso pieno e assoluto è oggetto della volontà, il male, che è privazione di bene, si trova in una maniera tutta particolare nelle creature ragionevoli dotate di volontà. Il male quindi che si verifica per una sottrazione della forma o della integrità di una cosa riveste il carattere di pena; specialmente se supponiamo che tutto è sottoposto alla provvidenza e alla giustizia di Dio, come più sopra abbiamo spiegato: rientra infatti nel concetto di pena il fatto di essere contraria alla volontà. Il male poi che consiste nella carenza della debita operazione, trattandosi di azioni volontarie, riveste il carattere di colpa. Difatti a uno imputiamo come colpa il non raggiungere la perfezione di un atto del quale per la volontà è arbitro. Cosicché ogni male, nelle cose che hanno attinenza con la volontà, o è una pena o una colpa.” Il “malum culpae” è allora la forma più grave in cui possa configurarsi il “Male”: q. 48 art. 6: “Rispondo: La colpa riveste maggiormente il carattere di male non solo più della pena sensibile a cui si riduce la pena nel concetto dei più, pena che consiste nella privazione dei beni del corpo, ma anche prendendo la pena in generale, in quanto cioè persino la privazione della grazia e della gloria possono essere una pena. Di ciò abbiamo due prove. La prima si ha dal fatto che una persona diventa malvagia per il male colpa, non già per il male pena; secondo quel detto di Dionigi: "Il male non è esser puniti, ma il diventare degni di punizione". Ed è così, perché siccome il bene in senso assoluto [simpliciter] consiste nell'atto e non nella potenza, ed essendo l'operazione, ovvero l'uso di qualsiasi cosa che si abbia, la nostra attualità piena, il bene dell'uomo in senso pieno e assoluto va ricercato nella buona operazione o nel giusto uso delle cose che egli possiede. Ora noi facciamo uso di tutte le cose per mezzo della volontà. Perciò si dice che un uomo è buono o cattivo per la buona o cattiva volontà, con cui si serve delle cose che egli possiede. Infatti, chi ha una cattiva volontà, può usare male anche il bene posseduto; come il grammatico che volontariamente facesse delle sgrammaticature. Poiché dunque la colpa consiste in un disordinato atto della volontà, la pena invece nella privazione di qualcuna di quelle cose che sono sottoposte alla volontà, riveste maggiormente la natura di male la colpa che la pena. La seconda prova si può desumere dal fatto che Dio è autore del male punizione, e non del male colpa. E il motivo si è che il male pena elimina un bene della creatura: sia che si consideri bene della creatura qualche cosa di creato, p. es., la vista che viene tolta dalla cecità; sia che si tratti di un bene increato. Nel caso, p. es., che si verifichi la privazione della visione di Dio, viene sottratto alla creatura un bene increato. Invece il male colpa si oppone direttamente al bene increato in se stesso, e non solo in quanto partecipato dalle creature: inoltre va contro l'adempimento della divina volontà, e contro l'amore divino, mediante il quale il bene increato è amato per se stesso. Perciò è evidente che la colpa riveste carattere di male più della pena.” 
In entrambi i casi, comunque, il “Male” si configura come una forma – lo si è già detto - di mancanza, di privazione ma proprio questo ha una fondamentale implicazione, quella che – a differenza del “Bene” – non possa esistere un “Male” assoluto perché la privazione o mancanza assoluta corrisponderebbe all’annichilamento: q. 49, art. 3, “Rispondo: Come risulta da quello che è stato già detto, non può esserci un primo principio del male, come invece esiste un primo principio del bene. Primo, perché il principio primo del bene è buono per essenza, come fu dimostrato più sopra. Ora, niente può essere cattivo per essenza: infatti fu chiarito che ogni ente, in quanto ente, è buono; e che il male non ha altro soggetto che il bene. Secondo, perché il primo principio del bene è il bene perfetto, che contiene in sé ogni bontà, come più sopra fu spiegato. Invece non può esistere un sommo male, perché si è visto che il male, per quanto diminuisca il bene, tuttavia non potrà mai totalmente distruggerlo; e dal momento che un bene rimane sempre, non può esserci una cosa integralmente e assolutamente cattiva. Per questo Aristotele afferma che "se il male fosse integrale distruggerebbe se stesso": poiché, distrutto ogni bene (che è richiesto alla consistenza del male), si elimina anche il male stesso, che ha il suo subietto nel bene. Terzo, perché il concetto stesso di male si oppone all’idea di primo principio. Sia perché ogni male viene causato dal bene, come sopra abbiamo dimostrato. Sia perché il male non può essere che causa accidentale [per accidens]: e quindi non può essere causa prima, poiché la causa accidentale e indiretta [per accidens] è posteriore alla causa necessaria e diretta [per se], come dice Aristotele. Coloro invece che ammisero due primi principi, l'uno buono e l'altro cattivo, caddero in questo errore per la medesima ragione, per cui ebbero origine altre opinioni stravaganti degli antichi [filosofi]; cioè perché non consideravano la causa universale di tutto l'essere, ma soltanto le cause degli effetti particolari. E per questo, se trovavano che un essere in virtù della sua natura era nocivo a qualche cosa, stimavano che la natura di quello fosse cattiva: come se uno dichiarasse cattiva la natura del fuoco, perché ha bruciato la casa di un povero, - Ora il giudizio sulla bontà di una cosa non si deve desumere dal suo rapporto con un essere particolare; ma dalla cosa stessa e in relazione a tutto l'universo, nel quale ogni cosa occupa il suo posto col massimo ordine, come è evidente da quel che si è detto. Così pure, poiché trovavano che di due effetti particolari diversi esistevano due cause particolari diverse, non seppero ricondurre le due cause particolari contrarie ad una causa universale comune. Perciò ritennero che la contrarietà fra le cause si estendesse fino alle cause prime. - Siccome invece tutti i contrari coincidono in un unico genere comune, è necessario che in essi, oltre alle contrastanti loro cause proprie, si trovi una causa comune unica: come al disopra delle contrarie qualità degli elementi troviamo la, potenza di un corpo celeste. E così, al disopra di tutte le cose che sono in un modo o in un altro, troviamo un unico principio dell'essere, come già fu dimostrato.”
Resta dunque da appurare come il “Male” si rapporti o possa rapportarsi a Dio Sommo Bene. San Tommaso lo chiarisce nella Q 49 a2, “Rispondo: Come abbiamo già visto, il male che consiste in una deficienza dell'azione, è sempre causato da un difetto dell'agente. Ora in Dio non c’è difetto alcuno, ma somma perfezione, come più sopra abbiamo dimostrato. Perciò il male consistente in una deficienza dell'azione, causata da un difetto dell'agente, non si può riportare a Dio come a sua causa. Il male invece che consiste nella corruzione o distruzione di qualche cosa, si riallaccia alla causalità di Dio. E ciò è evidente, sia negli esseri naturali, che in quelli dotati di volontà. Difatti abbiamo spiegato che un agente, in quanto produce con la sua efficacia una forma, alla quale tiene dietro una corruzione o una privazione, produce quella corruzione o quella privazione con la sua virtù. Ora, è evidente che la forma voluta da Dio nelle cose create è il bene, consistente nell'ordine dell'universo. E l'ordine dell'universo richiede, come più sopra abbiamo spiegato, che esistano degli esseri che possono fallire, e che via via falliscono. Cosicché Dio quando causa nelle cose quel bene che è l'ordine dell'universo, per concomitanza e indirettamente [quasi per accidens] causa la corruzione delle cose, secondo l'espressione della Scrittura; "Il Signore fa morire e fa vivere". Mentre l'altro passo: "Dio non fece la morte", va spiegato, "come cosa direttamente voluta". - Ora, all'ordine dell'universo appartiene anche l'ordine della giustizia, il quale richiede che venga inflitta la punizione ai peccatori. Per questo motivo Dio è l'autore di quel male che è la pena: non però di quel male che è colpa, per la ragione che si è detto.”
francesco latteri scholten.

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