Il
diritto naturale ha in San Tommaso d’Aquino una sua grande intrinsecità
e fondamentalità. Esso ha però anche un grande limite: la genericità.
La vita dell’uomo è infatti eminentemente sociale, dunque comunitaria e
politica ed in quanto tale essa esige una normazione particolareggiata,
ben definita e determinata al caso specifico e concreto. E’ necessaria
perciò una legge umana positivamente sancita. Tra le diverse cose che mi
hanno colpito, studiando la Summa Theologiae dell’aquinate, c’è il
fatto che se per lui la legge prima è quella con cui Dio ordina e crea
l’universo e lo dirige al suo fine, se la manifestazione di questa legge
nella cratura razionale è la legge naturale, che si ricollega con le
potenze dell’intelletto e della volontà alle virtù - dove peraltro mi è
sembrato leggere più che un discorso etico/morale, un vero trattato
giuridico - , è altrettanto vero che poi l’aquinate dà questa
definizione di legge: Comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una collettività.
(Q. 90, art.1). E’ una definizione giuspositivista, data alla Quaestio
90, la prima di quelle inerenti la legge, precedente la Q. 91, dove la
legge è distinta in eterna, naturale etc. Sembra allora che si possa
affermare che, sebbene la prima legge sia quella eterna e poi quella
naturale, San Tommaso intenda propriamente come legge (giuridicamente
intesa) la legge positiva e come ius lo ius positivo. Questa opinione
pare legittimata anche da latre affermazioni fatte sempre alla Q. 90 :
a) La legge è qualcosa che appartiene alla ragione (art.1) e ogni legge è ordinata al bene comune (art.2). b) Fare le leggi spetta o all’intero popolo, o alla persona pubblica che ha la cura di esso (art.3). c) La promulgazione è necessaria alla legge perché abbia
vigore.
La prima affermazione del punto a) ci riconnette anche al diritto
naturale e così alla legge eterna, mentre già la seconda riconduce invece al
diritto in quanto diritto positivo e questo fanno in modo ancora più
esplicito le affermazioni degli altri punti. L’opinione sembra essere
ulteriormente sostenuta anche dalla definizione di legge umana data
nella Q. 91 dove Tommaso disamina le diverse leggi (eterna, naturale
etc): la ragione umana dai precetti della legge naturale come da
principi universali dispone delle cose in modo particolare, queste
disposizioni particolari sono la legge umana. La legge naturale dà
dunque dei semplici principi generali, dei criteri, mentre la normazione
propria è quella del particolare, data dalla legge umana, dallo ius in
quanto positivo. Tuttavia, se lo ius in quanto tale è tale appunto
perché positivo, d’altra parte la qualità di iustum gli è conferita
dalla partecipazione a quei principi generali propri del diritto
naturale. Nella definizione di legge data dall’aquinate ciò è
specificato dalla dicitura comando della ragione, in quanto
questa è lo specifico dell’uomo, della sua natura. Dalla definizione
data appare però che non basta semplicemente che la norma positiva sia
ispirata dalla legge naturale come da un principio generale, occorre di
più. E’ necessario infatti che il comando della norma positiva in quanto
positiva sia finalizzato ad un fine positivo legittimo: il bene comune,
ed infatti egli specifica: … il fine della legge umana è l’utilità degli uomini
(Q. 95, art. 3). Dunque la norma positiva trae i suoi principi generali
dal diritto
naturale per normare il caso particolare e finalizzare il
tutto al bene della comunità. San Tommaso esplicita questo doppio
riferimento della legge positiva – da un lato legge eterna, naturale,
Dio, dall’altro il bene degl’uomini – relazionandosi alle celebri tre
condizioni della legge poste da Sant’Isidoro: 1) che la legge sia coerente con la religione (in quanto proporzionata alla legge divina). 2) Che la legge convenga alla disciplina (in quanto proporzionata alla legge naturale). 3) Che la legge sostenga il benessere degl’uomini
(in quanto relativa all’utile degl’uomini). La legge deve dunque
rispondere al bonum divinum ed al bonum humanum. L’uomo è moralmente
obbligato ad osservare la legge che risponda ad entrambi i questi
requisiti. L’obbligazione per San Tommaso non è tuttavia semplicemente
morale ma positiva cioè coercitiva, e deve essere anzi normato e
coercito positivamente anche il diritto naturale, perché Gl’uomini
hanno in sé un appetito naturale alla virtù, è tuttavia necessario
disciplinarli a ciò, anche a causa delle inclinazioni contrarie e dunque
ricondurre eventualmente con la forza alla virtù. Sono dunque
necessarie pene cogenti e la disciplina delle leggi per la pace degli
uomini (Q. 95 art. 1). Sempre circa l’obbligatorietà, per
l’aquinate, l’uomo può, e talvolta deve non osservare la legge che non
risponda al bene comune, nel qual caso è da considerare alla stregua del
comando di un bruto, mentre deve sempre non osservare la legge che va
contro il bonum divinum. Questi concetti costituiscono anche la base del
pensiero politico di San Tommaso, tanto nel De regimine principum quanto nel De regno. Nel De regimine si sofferma sulla necessità che nella società vi sia chi la indirizzi rettamente perché E’ necessario dunque che nella società vi sia un principio direttivo e nel De regno egli esplicita chiaramente: Se
dunque una società di uomini liberi è ordinata da chi la governa al
bene comune della società stessa, il governo sarà retto e giusto quale
si conviene a uomini liberi. Se invece il governo, anziché al bene
comune della società, è ordinato al bene privato del governante, avremo
un governo ingiusto e perverso. Sono finalizzati al bene comune e
perciò giusti la monarchia, l’aristocrazia e la politia, sono forme
perverse la tirannide, l’oligarchia e la ma democrazia. San Tommaso nega
il tirannicidio, ma sostiene la resistenza passiva fino alla morte
contro la legge che neghi il bonum divinum. Come si vede il diritto
naturale si ricollega a quello positivo e questo alla concezione
politica dello Stato.
francesco latteri scholten.
francesco latteri scholten.
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